Ritrazione culturale

Il Cairo, Egitto, 2022

Le ragioni per cui abbiamo scelto l’Egitto come destinazione di questa terza fase della nostra ricerca comparativa, dopo Albania e Marocco, sono molteplici. Tra tutte, di ispirazione è stata l’esperienza di MASS Alexandria, uno spazio non-profit con una vocazione alla pratica artistica, alla ricerca e alla formazione, fondato dall’artista Wael Shawky nel 2010. Purtroppo, a distanza di dieci anni, l’eccezionale storia di questo laboratorio educativo si è conclusa. Destino comune per molte iniziative di artisti e spazi indipendenti dedicati alla sperimentazione in Egitto. È come se l’ondata delle primavere arabe e il fallimento delle manifestazioni di protesta abbia prodotto una vera e propria risacca: una forma di ritrazione culturale senza più spazio per voci autonome permea una società narcotizzata all’interno di un sistema ancora più oppressivo del precedente.

Alcuni critici riconoscono nella nuova scena artistica egiziana l’emergere di voci intimiste, proiettate verso l’interno per dar vita a una pars costruens che riparte da piccoli passi, individuali prima che collettivi. Appartenenza, speranza e inclusione soppiantano i temi della resistenza e del conflitto politico. Forse è questa l’unica via per esprimersi quando viene negato lo spazio pubblico? Basti osservare la trasformazione di piazza Tahrir, controllata a vista e occupata da centinaia di vasi con alberi di ulivo che non permettono assembramenti, e gli stessi quartieri di Bulaq e Downtown Cairo, in cui gli edifici storici vengono demoliti o lasciati crollare al suolo per eliminare ogni traccia delle reti di vicinato, soppiantate da grattacieli e condomini di lusso sorvegliati da miriadi di videocamere.